Nuovi soggetti sociali
Nella mappa variegata della nostra società, si va profilando un nuovo paradigma: cioè un insieme di elementi, di caratteristiche, di modi di pensare e di vivere che contraddistinguono un nuovo gruppo sociale, sempre più vasto e distinto di persone: soprattutto giovani, ma non solo giovani; non solo disoccupati, ma soprattutto disoccupati. Ne abbiamo già accennato nella prima parte; qui vale la pena di parlarne con qualche dettaglio in più.
Se dovessi dare un nome a questo nuovo «soggetto collettivo», fatto di persone che la pensano più o meno allo stesse modo, lo chiamerei appunto «digitale» in onore di Nicholas Negroponte e di Bill Gates che, in un certo senso, ne sono i profeti e gli antesignani.
Ciò non significa che i «digitali» si distinguono soltanto per la loro identificazione quasi maniacale con il computer, con la posta elettronica e con Internet: significa che il computer e Internet sono il loro segno distintivo così come la televisione è stato il segno distintivo della generazione che si è identificata nei mass media e così come la
catena di montaggio fu il segno distintivo della generazione che si identificò nella fabbrica.
Molti altri caratteri specifici connotano il modo di vivere e di pensare dei «digitali»: la soddisfazione per la conquistata ubiquità, grazie alla potenza dei mezzi planetari di comunicazione e di trasporto; la dimestichezza con la virtualità, che rende i loro rapporti sempre più astratti e arricchisce i loro sensi di nuove dimensioni; la fiducia nellingegneria genetica, che consente di modificare il corpo umano e il suo destino biologico; laccettazione dellandroginìa e della femminilizzazione, grazie alle quali i generi sono posti sullo stesso piano e ciascuno di essi acquisisce valori che prima erano monopolizzati dallaltro; la consapevolezza che il tempo libero ha importanza almeno pari al tempo di lavoro e che lozio è spesso più creativo dellattivismo.
I «digitali» condividono tutte queste novità e altre ancora: sono molto attenti allecologia e tendono a uno sviluppo sostenibile; accettano con entusiasmo la multirazzialità, la convivenza pacifica delle culture e delle religioni; amano la notte almeno quanto il giorno e non fanno troppa differenza tra i giorni ufficialmente festivi e quelli ufficialmente feriali. A differenza dei loro genitori, che avevano più zii che nomi, i «digitali» hanno più nonni che zii.
I «digitali» sono già abituati a confondere le attività di studio, di lavoro e di tempo libero: la frequente consuetudine con la disoccupazione li ha abituati a coniugare spezzoni di lavoro casuali con fasi di studio più intenso, con viaggi, con la cura della famiglia e del gruppo amicale. Perciò essi tendono a parlare più lingue, soprattutto linglese, e tendono a comunicare per mezzo di «nuovi esperanti» come la musica, rock, larte post-moderna, la disinvoltura dei rapporti sessuali, lassenza di ideologie forti. Hanno preferenze spiccate per determinate riviste, determinati cantanti, determinati artisti, in cui si identificano.
I «digitali» sono spesso disoccupati, ma colti e agiati. Vivono attingendo al patrimonio familiare: perciò tendono a dare poca importanza al denaro come fine a se stesso e poca importanza al consumo come sintomo di status. Curano il proprio corpo ma non lo arredano in modo costoso, preferendo «ciò che si è» a «ciò che si appare».
I «digitali» sono una «cultura». Anzi, una controcultura oziosa e creativa rispetto alla cultura impiegatizia e manageriale, frenetica ed esecutiva.
Il futuro del lavoro Domenico De Masi pagine 280 e 281
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